RESPONSABILITA' DEL MAGISTRATO

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LA RESPONSABILITA' DEL MAGISTRATO DOPO LA PROCEDURA D'INFRAZIONE DELLA EUROPA

 

Responsabilità civile dei magistrati

 

Guida aggiornata alla riforma del 2015 in vigore dal 19 marzo

 

La responsabilità civile dei magistrati nell'ambito dell'esercizio delle funzioni giudiziarie è disciplinata dalla legge n. 117 del 13 aprile 1988 (c.d. "legge Vassalli"), approvata a seguito del referendum abrogativo della previgente normativa (d.p.r. n. 497/1987) considerata fortemente limitativa sul piano della responsabilità civilistica dei giudici. 

 

La nuova legge ha cercato di contemperare i due principi della responsabilità civile dei giudici con l'esigenza di salvaguardarne l'indipendenza e l'autonomia, tuttavia, nel tempo ha corrisposto solo in parte agli obiettivi originari fissati con il referendum, realizzando di fatto una responsabilità più virtuale che reale, tanto da portare, a seguito di un lungo dibattito, alimentato anche dalle sollecitazioni della Corte di Giustizia Europea, alla recente riforma operata dalla l. n. 18 del 27 febbraio 2015, in vigore dal 19 marzo 2015.

 

In questa pagina: Il dibattito | La riforma del 2015 | Il danno ingiusto e la responsabilità indiretta | La colpa grave | Il diniego di giustizia | La clausola di salvaguardia | Campo di applicazione | La domanda di risarcimento | La rivalsa dello Stato | Responsabilità disciplinare e contabile

 

    Il dibattito

 

Di fronte ai risultati prodotti dalla legge Vassalli, giudicati da più parti non rispondenti agli obiettivi originari posti con l'esito referendario, sono stati presentati nel tempo svariati progetti di legge, volti ad introdurre modifiche sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello procedurale, al fine di contemperare, da un lato, l'esigenza di una reale applicabilità della responsabilità civile dei magistrati, dall'altro di non comprometterne le necessarie autonomia ed indipendenza. 

 

I vari disegni di legge si sono mossi sostanzialmente nell'ottica di una introduzione di forme dirette di responsabilità del magistrato, almeno in caso di dolo, di una semplificazione del procedimento per la responsabilità in caso di colpa grave, di una garanzia di terzietà dell'organo giudicante con la previsione di una composizione mista (anche di cittadini), della revoca del limite della posta risarcitoria (un compiuto excursus sui progetti di legge che si sono susseguiti in materia è visibile sul sito della Camera a questa paginawww.camera.it/...magistrati). 
Nel difficile dibattito sul tema si è incisivamente inserita anche la Corte di Giustizia dell'Unione europea, che si è pronunciata in più occasioni (causa C-224/01 "Kobler"; causa C-173/03 "Traghetti del Mediterraneo SpA" conclusa con sentenza del 13.6.2006) riguardo alla mancata rispondenza della legge Vassalli alle norme del diritto comunitario, soprattutto in merito all'esclusione della responsabilità del magistrato nei casi di interpretazione di norme di diritto o della valutazione di fatti e prove e all’imposizione di requisiti poco rigorosi (nelle ipotesi di responsabilità ammesse) nei confronti della violazione manifesta del diritto vigente. Ciò ha comportato, da ultimo, l’avvio da parte della CGUE di una procedura di infrazione, conclusa con una sentenza di condanna per l'Italia (Commissione c. Italia 24.11.2011) per violazione degli obblighi di adeguamento dell’ordinamento interno al principio di responsabilità degli Stati membri, di fronte alle ipotesi di violazione del diritto dell’Unione Europea da parte degli organi giurisdizionali di primo grado.

 

 

 

    La riforma del 2015

 

La necessità di un intervento legislativo, diventata ormai ineludibile, ha portato il Governo alla presentazione di una proposta di legge di riforma della disciplina vigente (n. AC.2738) che, dopo un iter parlamentare lungo e travagliato, è stata definitivamente approvata il 24 febbraio 2015.

 

La legge n. 18/2015, nell’ottica di adeguare l’ordinamento italiano alle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia Europea, modifica in più punti la l. n. 117/1988, mantenendo tuttavia inalterato il principio della responsabilità indiretta dei magistrati, invocato da più parti, e agendo sostanzialmente sotto il profilo della limitazione della c.d. “clausola di salvaguardia”, della ridefinizione in senso più ampio delle fattispecie di colpa grave, eliminando altresì il filtro endoprocessuale di ammissibilità della domanda e rendendo obbligatoria e più stringente la disciplina della rivalsa dello Stato verso il magistrato responsabile.

 

 

 

    Il danno ingiusto e la responsabilità indiretta

 

La legge n. 117/1988 prevede, all'art. 2, che chiunque abbia subito un danno ingiusto, a causa di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali” (art. 2, comma 1). 

 

A seguito della riforma viene ampliato lo spettro delle ipotesi del risarcimento dei danni, patrimoniali e non, attraverso l’eliminazione della norma di chiusura “che derivino da privazione della libertà personale”, precedentemente prevista dal comma 1 dell’art. 2.

 

Rimane, invece, invariato, il principio di responsabilità indiretta, per cui il cittadino che ha subito un danno ingiusto a causa del magistrato dovrà agire, tramite l’apposita azione, esclusivamente nei riguardi dello Stato, il quale si rifarà in un secondo momento sul giudice responsabile, fatta salva l’ipotesi di cui all’art. art. 13, comma 1, della l. n. 117/1988, che prevede che il cittadino, laddove il danno causato dal magistrato nell’esercizio delle sue funzioni consegua ad un fatto costituente reato, possa esperire l’azione civile per il risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato secondo le norme ordinarie.

 

Quanto al requisito dell’ingiustizia, il danno deve rappresentare l'effetto di un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere da un magistrato con "dolo" o "colpa grave" nell'esercizio delle sue funzioni oppure conseguente "a diniego di giustizia". 

 

 

 

    La colpa grave

 

Fino all’entrata in vigore della l. n. 19/2015, l’art. 2, comma 3, della legge Vassalli includeva nella colpa grave: la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabilel'affermazione e la negazione, determinate da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa (ovvero sussistente) dagli atti del procedimento; l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge o senza motivazione. 

 

Con la riforma, il legislatore ha provveduto a ridisegnare le fattispecie di colpa grave, novellando l’intero comma 3 e aggiungendo un comma 3-bis all’art. 2 della legge Vassalli.

 

In particolare, prendendo spunto dalle indicazioni emerse dalla giurisprudenza, secondo la quale, la colpa grave si concretizza in una violazione “grossolana e macroscopica della norma ovvero in una lettura di essa contrastante con ogni criterio logico, che comporta l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo e lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero" (cfr. ex multis, Cass. n. 7272/2008), il legislatore del 2015 ha soppresso innanzitutto il riferimento alla “negligenza inescusabile” prima previsto, stabilendo così che i comportamenti dei magistrati che rientrano nelle ipotesi di colpa grave sono tali ope legis.

 

Le ipotesi di colpa grave previste dal novellato comma 3 dell’art. 2 sono le seguenti:

 

- la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell’UnioneEuropea (in luogo della grave violazione di legge precedentemente prevista);

 

- il travisamento del fatto o delle prove;

 

l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, o, viceversa, la negazione di un fatto incontrastabilmente esistente;

 

l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge o senza motivazione.

 

 

 

Responsabilità civile dei magistrati: l’Italia si adegua alle richieste dell’Unione europea?

 

L’esigenza di una riforma della disciplina circa la responsabilità civile dei magistrati, attualmente prevista dalla legge del 13 aprile 1988, n. 117, c.d. Legge Vassalli, è avvertita da tempo (v. post su questo blog). La Corte di giustizia ha, infatti, censurato più volte la nostra normativa sul punto, ritenendola  non idonea ad assicurare una tutela effettiva di chi avesse subito un pregiudizio per il fatto del giudice, specie nel caso in cui l’illecito derivi dall’inosservanza del diritto dell’Unione europea. Recentemente, la Commissione ha avviato una seconda procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, rilevando il mancato adeguamento dell’Italia all’ultima pronuncia della Corte in tema, Commissione c. Italia,  la quale accertava – dopo il caso Traghetti del Mediterraneo – , le lacune della legislazione italiana sulla responsabilità dei magistrati, da un punto di vista della tutela giurisdizionale effettiva (v. procedura di infrazione n. 2009_2230).

Per porre rimedio a tale situazione, il 24 febbraio 2015 è stato definitivamente approvato dalla Camera dei deputati il disegno di legge C.2738, intitolato Disciplina della responsabilità civile dei magistrati,che modifica la legge Vassalli con l’obiettivo di colmare le lacune evidenziate dal giudice di Lussemburgo.

Il disegno di legge approvato, di sette articoli, apporta alcune modifiche alla precedente legislazione senza alternarne l’impianto: la responsabilità dei magistrati resta, infatti, indiretta, non potendo il soggetto leso ricorrere direttamente nei confronti del magistrato autore dell’illecito, ma unicamente nei confronti dello Stato, il quale poi potrà (e – in certi casi – dovrà) esercitare l’azione di rivalsa.

In primo luogo, viene previsto che anche le attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove potranno dar luogo a responsabilità nei casi di dolo o colpa grave (nuovo art. 2, c. 2, legge 117/1988), innovando in maniera significativa rispetto al passato, in quanto, nella legge del 1988  si trattava di ipotesi del tutto sottratte al regime di responsabilità.

In secondo luogo, vengono ridefinite le ipotesi di colpa grave, le quali, a seguito della novella legislativa, comprendono: 1) la violazione manifesta della legge, nonché del diritto dell’Unione europea, 2) il travisamento del fatto o delle prove, 3) l’affermazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, 4) la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento, 5) l’emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione (nuovo art. 2, c. 3, legge 177/1988). La nuova normativa precisa anche che per determinare la sussistenza di una “violazione manifesta” della legge o del diritto dell’Unione europea, occorre tenere conto del grado di chiarezza e precisione delle norme violate, nonché dell’inescusabilità e della gravità dell’inosservanza, risultando evidente l’influenza della giurisprudenza della Corte di giustizia nella specificazioni di tali criteri (cfr. Brasserie du pêcheur, punti 55 -57). Inoltre, con particolare riferimento alla violazione inerente al diritto dell’Unione europea, e per conformarsi pienamente alla citata sentenza della Corte nella causa C-379/10, consentendo la chiusura della seconda procedura aperta nei confronti dell’Italia, la novella legislativa indica anche la necessità di valutare, in detto esame, la mancata osservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267, terzo comma, TFUE, nonché il contrasto dell’atto o del provvedimento del giudice con l’interpretazione espressa della Corte di giustizia dell’Unione.

Tra le altre modifiche occorre ricordare l’allungamento del termine per l’esercizio dell’azione di responsabilità, che passa da due a tre anni (nuovo art. 4, c. 2, l. 177/1988), nonché l’abrogazione del filtro di ammissibilità dei ricorsi dei cittadini operato, in precedenza, dal Tribunale competente in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 5 della legge Vassalli.

Esteso anche il termine, da uno a due anni, a partire dal risarcimento dal risarcimento dello Stato avvenuto sulla base  di titolo giudiziale  o  stragiudiziale, per esercitare l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri. L’esercizio di tale azione è obbligatorio solo nel caso di diniego di giustizia, oppure di violazione manifesta della legge o del diritto dell’Unione europea, nonché di travisamento del fatto o delle prove addebitabili ad un magistrato per dolo o negligenza inescusabile (nuovo art. 7, l. 177/1988) lasciando perciò alcuni spazi in cui la responsabilità per il fatto illecito potrebbe rimanere gravante solo sullo Stato, rimanendo l’esercizio dell’azione di rivalsa una mera facoltà. La misura di detta rivalsa potrà arrivare alla metà dello stipendio annuale del magistrato, al netto delle trattenute fiscali (la soglia attuale è di un terzo), anche se dal fatto è derivato un danno a più persone e queste hanno agito con distinte azioni di responsabilità. Nessun limite è, invece, previsto per i casi di illecito commesso con dolo (nuovo art. 8, c. 3, l. 177/1988).

Occorrerà attendere l’esame della Commissione europea per sapere se la normativa appena approvata consentirà, come accennato, la chiusura dell’avviata procedura di infrazione n. 2009-2230. E solo la  prassi, naturalmente, potrà rispondere all’ interrogativo inerente al fatto che le modifiche apportate siano sufficienti a consentire una maggiore tutela dei cittadini attraverso il ricorso allo strumento giudiziario, così come modificato.....

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25 novembre 2011 |

Angela ColellaFrancesco Viganò

INCOMPATIBILE CON IL DIRITTO UE LA VIGENTE DISCIPLINA ITALIANA IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ  DA ERRORE GIUDIZIARIO

Nota a Corte di giustizia UE, Commissione europea c. Repubblica italiana, sent. 24 novembre 2011, causa C-379/10

 

 

1. La Corte di giustizia dell'Unione europea, pronunciandosi con sentenza 24 novembre 2011 in seguito a un ricorso per infrazione promosso dalla Commissione contro la Repubblica italiana, ha affermato la contrarietà al diritto dell'Unione della vigente disciplina sul risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e sulla responsabilità civile dei magistrati di cui alla legge n. 117/1988, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di cassazione italiana, nella misura in cui tale disciplina priva di contenuto effettivo il principio generale della  responsabilità degli Stati membri per violazioni del diritto dell'Unione da parte di un proprio organo giurisdizionale di ultimo grado.

 

2. Questi, in estrema sintesi, i termini della questione.

L'art. 2 della citata legge n. 117/1988 recita:

"1.      Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale.

2.      Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

3.      Costituiscono colpa grave:

a)      la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b)      l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c)      la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d)      l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione".

A essere censurate dalla Commissione, con valutazione ora condivisa dalla Corte, sono in particolare a) la limitazione della responsabilità ai casi di dolo e colpa grave di cui al primo comma, nonché b) l'esclusione di ogni responsabilità per l'attività di "interpretazione di norme di diritto" e di "valutazione del fatto e delle prove" di cui al secondo comma, nella misura in cui tali disposizioni, alla stregua della pertinente giurisprudenza della Corte di cassazione italiana, finiscono per privare il singolo di ogni tutela giurisdizionale effettiva nel caso di errori commessi dal giudice di ultima istanza (e dunque dalla stessa Cassazione) il quale interpreti il diritto dell'Unione  in maniera manifestamente erronea - ovvero interpreti il diritto nazionale in modo da condurre, in pratica, a una manifesta violazione del diritto dell'Unione.

 

3. La compatibilità di questa disciplina italiana al diritto UE era, in verità, già stata esaminata nel dettaglio dalla Corte nella nota sentenza Traghetti del Mediterraneo del 2006, in esito ad un rinvio pregiudiziale promosso dal Tribunale civile di Genova nell'ambito di una causa di risarcimento dei danni intentata dal liquidatore della società "Traghetti del Mediterraneo"contro lo Stato italiano. Causa petendi del giudizio a quo era, per l'appunto, un errore manifesto di interpretazione del diritto comunitario compiuto, secondo la società attrice, dal giudice di cassazione in un precedente giudizio, nel quale per di più era stata rigettata la domanda della parte di sollevare questione pregiudiziale avanti la Corte di giustizia sul punto di diritto comunitario allora controverso. Il giudice civile genovese adito in sede risarcitoria, rilevato che il secondo comma del citato art. 2 l. 117/1988 esclude ogni responsabilità dello Stato per errori di interpretazione o di valutazione dei fatti e delle prove commessi dai giudici di qualunque istanza, e in ogni caso limita la residua responsabilità ai casi di dolo o colpa grave - criteri, questi ultimi, da apprezzare alla stregua di un'interpretazione estremamente restrittiva fornitane dalla corte regolatrice, che conduce al sistematico rigetto delle istanze risarcitorie promosse dal privato -, chiedeva alla Corte di giustizia se tale disciplina fosse o meno compatibile con il principio generale del diritto comunitario che mira ad assicurare al singolo una tutela giurisdizionale effettiva, segnatamente di natura risarcitoria, contro le violazioni del diritto comunitario imputabili allo Stato membro.

 

4. Tale principio, riconosciuto in via generale a partire dalla storica sentenza Francovich del 1991, era già stato esteso dalla Corte con la sentenza Köbler del 2003 - nelle more del giudizio introdotto dal giudice genovese - alla violazioni imputabili alle autorità giurisdizionali di ultima istanza dello Stato membro. In  Köbler la Corte aveva altresì precisato le condizioni in presenza delle quali deve ritenersi sussistente tale responsabilità nei cruciali passaggi seguenti, che conviene qui riportare per esteso:

"§ 51: Per quanto riguarda le condizioni nelle quali uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili, emerge dalla giurisprudenza della Corte che esse sono tre, vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione grave e manifesta e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi (sentenza Haim, cit., punto 36).

§ 52: La responsabilità dello Stato per danni causati dalla decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado che viola una norma di diritto comunitario è disciplinata dalle stesse condizioni.

§ 53: Per quanto riguarda più in particolare la seconda di queste condizioni e la sua applicazione al fine di stabilire un'eventuale responsabilità dello Stato per una decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado, occorre tener conto della specificità della funzione giurisdizionale nonché delle legittime esigenze della certezza del diritto come hanno fatto valere anche gli Stati membri che hanno presentato osservazioni in questo procedimento.La responsabilità dello Stato a causa della violazione del diritto comunitario in una tale decisione può sussistere solo nel caso eccezionale in cui il giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente.

§ 54: Al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento dei danni deve tenere conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato.

§ 55: Fra tali elementi compaiono in particolare il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o l'inescusabilità dell'errore di diritto, la posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria nonché la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE.

§ 56: In ogni caso, una violazione del diritto comunitario è sufficientemente caratterizzata allorché la decisione di cui trattasi è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in questa materia (v., in tal senso, sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 57).

§ 57: Le tre condizioni richiamate al punto 51 della presente sentenza sono necessarie e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, senza tuttavia escludere che la responsabilità dello Stato possa essere accertata a condizioni meno restrittive sulla base del diritto nazionale (v. sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 66).

§ 58: Con riserva del diritto al risarcimento che trova direttamente il suo fondamento nel diritto comunitario nel caso in cui queste condizioni siano soddisfatte, è nell'ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (sentenze Francovich e a., cit., punti 41-43, e Norbrook Laboratories, cit., punto 111)".

In replica agli argomenti sollevati da vari governi costituiti in giudizio, la Corte precisava altresì, nella medesima sentenza Köbler, che il principio della responsabilità dello Stato nei confronti del singolo danneggiato per le violazioni del diritto comunitario da parte dei propri organi giurisdizionali di ultima istanza (principio che, rilevava acutamente la Corte, è pacificamente proprio anche del sistema di tutela giurisdizionale previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nel quale sono frequentissime le condanne dello Stato ai sensi dell'art. 41 CEDU alla corresponsione  al ricorrente di un indennizzo in conseguenza di violazioni imputabili ai giudici nazionali di ultima istanza) non comporta necessariamente l'affermazione di una responsabilità risarcitoria delsingolo giudice per l'errore commesso: profilo, quest'ultimo, che lo Stato resta dunque libero di disciplinare in maniera da garantire in modo efficace il principio dell'indipendenza del giudice di ultima istanza (§ 42).

 

5. Sulla base di questi principi, nessuna sorpresa - dunque - che nel 2006 la Corte abbia riconosciuto la fondatezza dei dubbi del Tribunale di Genova nella causa Traghetti del Mediterraneo.

Da un lato, osservò la Corte, l'esclusione di ogni responsabilità risarcitoria da parte del secondo comma dell'art. 2 l. 117/1988 nel caso di erronea interpretazione di norme di diritto equivale "a privare della sua stessa sostanza il principio sancito dalla Corte nella citata sentenza Köbler" (§ 36).

Dall'altro lato, l'ulteriore esclusione della responsabilità sancita dalla norma nel caso di erronea valutazione del fatto o delle prove conduce anch'essa a "privare di effetto utile" i principi sanciti in Köbler (§ 40), dal momento che "l'applicazione di dette norme al caso di specie spesso dipenderà dalla valutazione che egli avrà compiuto sui fatti del caso di specie così come sul valore e sulla pertinenza degli elementi di prova prodotti a tal fine dalle parti in causa" (§ 38) - ciò che vale con particolare evidenza, rileva incidentalmente la Corte, nella materia degli aiuti di stato (cui si riferiva il caso di specie), giacché "escludere, in tale settore, qualunque responsabilità dello Stato poiché la violazione del diritto comunitario commessa da un organo giurisdizionale nazionale risulterebbe da una valutazione dei fatti rischia di condurre a un indebolimento delle garanzie procedurali offerte ai singoli in quanto la salvaguardia dei diritti che essi traggono dalle pertinenti disposizioni del Trattato dipende, in larga misura, da successive operazioni di qualificazione giuridica dei fatti. Orbene, nell'ipotesi in cui la responsabilità dello Stato fosse esclusa in maniera assoluta, a seguito delle valutazioni operate su determinati fatti da un organo giurisdizionale, tali singoli non beneficerebbero di alcuna protezione giurisdizionale ove un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado commettesse un errore manifesto nel controllo delle summenzionate operazioni di qualificazione giuridica dei fatti e ciò in particolare, come nel caso di specie" (§ 41).

Quanto, infine, alla limitazione della responsabilità risarcitoria dello Stato ai casi di dolo o colpa grave di cui al primo comma dell'art. 2 cit., la Corte - senza impegnarsi nell'esame della pertinente giurisprudenza italiana in materia - si era allora limitata ad osservare che "il diritto comunitario osta altresì ad una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza della responsabilità dello Stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente, quale precisata ai punti 53-56 della citata sentenza Köbler" (§ 46).

 

6. Essendo la legislazione italiana rimasta immutata pur dopo la statuizione della Corte in Traghetti del Mediterraneola Commissione proponeva contro lo Stato italiano il ricorso per infrazione che ha dato origine alla sentenza qui presentata, nella quale la Corte ha puntualmente reiterato le censure già espresse sul secondo comma dell'art. 2 l. 117/1988, precisando ulteriormente - quanto alla limitazione al dolo e alla colpa grave contenuta nel primo comma - che l'interpretazione fornitane dalla Cassazione italiana è effettivamente contraria al diritto UE, nella misura in cui fissa standard di prova talmente rigidi a carico dell'attore da vanificare sistematicamente, in pratica, il diritto alla tutela giurisdizionale del singolo contro le violazioni del diritto UE. La Commissione aveva richiamato l'attenzione della Corte su due sentenze della Cassazione (pronunciate, rispettivamente, in data 5 luglio 2007, n. 15227, e 18 marzo 2008, n. 7272) nelle quali - sia pure in riferimento a pretesi errori giudiziari che non concernevano il diritto UE - la nozione di "colpa grave" sarebbe stata interpretata, secondo la Commissione, "in termini tali da coincidere con il 'carattere manifestamente aberrante dell'interpretazione' effettuata dal magistrato". La Commissione aveva menzionato, in particolare, la massima della seconda delle sentenze menzionate, secondo cui i presupposti della responsabilità sancita dall'art. 2 co. 1 l. 117/1988 sussisterebbero solo "allorquando, nel corso dell'attività giurisdizionale, (...) si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo" (§ 16).

Uno standard, quest'ultimo, ritenuto naturalmente dalla Corte ben più rigoroso con quello fissato in Köbler, e pertanto incompatibile con il diritto UE. Non avendo lo Stato italiano dimostrato nel giudizio avanti alla Corte che la giurisprudenza italiana si attenga a una diversa e meno rigorosa del primo comma laddove si controverta di violazioni del diritto UE da parte dei giudici di ultima istanza, la Corte ha - del tutto conseguentemente - riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano per inadempimento dei propri obblighi discendenti dal diritto UE.

 

7. Quali le ripercussioni nel diritto interno di quest'ultima decisione della Corte?

Anzitutto, è necessario bene intendersi su quali siano i limiti degli obblighi statuiti dalla Corte a carico dello Stato italiano: la disciplina italiana vigente in materia di riparazione degli errori giudiziari, così come interpretati dalla nostra Corte di cassazione, deve essere adeguata al diritto UE in relazione a) agli errori commessi dai giudici di ultima istanza b) che traggano origine da violazioni manifeste del diritto dell'Unione europea. La Corte non pretende, dunque, che sia riconosciuto un risarcimento al privato che sia stato vittima di errori compiuti da giudici di merito (errori ai quali fisiologicamente è destinato a porre rimedio proprio il giudice di ultima istanza: cfr. sul punto Köbler, cit., § 34), né chiede - non avendo alcuna competenza in proposito - che i principi da essa statuiti si estendano anche agli errori relativi all'interpretazione e applicazione del diritto interno degli Stati membri, quantomeno laddove essi non determinino mediatamente una violazione dello stesso diritto UE (ad es., frustrandone l'effetto utile nel caso di specie).

E' evidente, peraltro, che - una volta ammesso il principio della risarcibilità dell'errore giudiziario commesso dal giudice di ultima istanza allorché abbia oggetto, direttamente o indirettamente, il diritto UE - l'adozione di standarddifferenti per l'errore che origini da un'interpretazione manifestamente errata del diritto interno da parte del giudice di ultima istanza appaia difficilmente giustificabile, dal punto di vista dell'ordinamento italiano, alla luce del generale principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., non essendo agevole ravvisare ragioni sostanziali che possano spiegare il differente trattamento delle conseguenze delle due tipologie di errore, suscettibili di pregiudicare in egual misura il diritto a una piena tutela giurisdizionale del privato vittima dell'errore. 

Nel merito, la disciplina italiana di cui alla legge n. 117/1988 dovrà dunque essere modificata - onde evitare la prospettiva di un secondo ricorso per infrazione ai sensi dell'art. 260 TFUE, che questa volta si concluderebbe con l'inflizione allo Stato italiano di una pesanti sanzioni pecuniarie - sì da renderla conforme ai principi statuiti dalla Corte.

Più in particolare, la previsione di cui all'attuale secondo comma dell'art. 2 - giudicata frontalmente in contrasto con il diritto UE - dovrà certamente essere eliminata, mentre la limitazione della responsabilità dello Stato ai casi di dolo o colpa grave di cui al primo comma potrà verosimilmente essere mantenuta, purché divenga chiaro che per "colpa grave" debba intendersi già una "violazione manifesta del diritto UE", alle condizioni precisate nei passaggi sopra testualmente riportati della sentenza Köbler. Risultato, quest'ultimo, che potrebbe teoricamente ottenersi anche solo con un abbandono, da parte della Corte di cassazione, dell'attuale restrittiva giurisprudenza censurata dalla Corte di giustizia, ma al quale potrebbe assai più pianamente pervenirsi - nel quadro di una riforma organica dell'attuale disciplina - attraverso una modifica espressa dell'art. 2, che recepisca e faccia propri i criteri di valutazione imposti in sede europea. Dovendosi altresì una volta ancora sottolineare, in proposito, come la Corte di giustizia pretenda soltanto che lo Stato italiano assicuri un risarcimento al privato in queste ipotesi, senza richiedere al contempo che il singolo giudice  (o i singoli componenti del collegio che abbia reso la decisione erronea) debbano rispondere del danno con il proprio patrimonio.

Il che evidenzia, mi pare, l'urgente necessità di una complessiva rimeditazione dell'attuale impianto della legge n. 117/1988, eventualmente anche attraverso il superamento dell'automatismo del giudizio di rivalsa sul singolo magistrato previsto attualmente dall'art. 7 della legge in parola, i cui presupposti non necessariamente devono concidere con quelli in presenza dei quali scatta l'obbligo risarcitorio a carico dello Stato nei confronti del privato.

 

8. Nell'attesa dell'ormai improcrastinabile modifica della legislazione italiana in materia, è peraltro altrettanto evidente che già oggi il privato il quale si assuma danneggiato da un errore giudiziario che tragga origine da una "violazione manifesta del diritto UE" ad opera della Corte di cassazione possa adire il giudice civile per ottenere il relativo risarcimento direttamente sulla base dei principi statuiti dalla Corte UE. Principi ai quali deve essere pacificamente riconosciuto effetto diretto nell'ordinamento degli Stati membri in forza del principio del primato del diritto comunitario - (cfr. in proposito Traghetti del Mediterraneo, cit., § 45: "il diritto al risarcimento sorgerà, dunque, [...] non appena sarà stato stabilito che la norma di diritto violata ha per oggetto il conferimento di diritti ai singoli e che esiste un nesso di causalità diretto tra la violazione manifesta invocata e il danno subito dall'interessato"), con conseguente obbligo a carico del giudice ordinario di disapplicare le disposizioni dell'art. 2 l. 117/1988 che la Corte di giustizia ha ritenuto in contrasto con il diritto UE.

Ciò vale, altrettanto naturalmente, anche per gli errori compiuti dalla Cassazione nella sua qualità di giudice penale di ultima istanza, allorché tali errori traggano origine per l'appunto da una violazione manifesta - alle condizioni precisate dalla Corte di giustizia - del diritto UE, ovvero da una interpretazione del diritto interno che conduca comunque, in pratica, ad una violazione manifesta del diritto UE. In tali ipotesi, sarà dunque il giudice civile - adito in sede risarcitoria - a dover assolvere il (delicatissimo) compito di valutare se la Cassazione penale sia incorsa in un simile errore: con ripercussioni sistemiche tutt'altro che trascurabili nel complessivo assetto di equilibri tra giurisdizione penale e civile.

In questa valutazione, uno dei fattori che il giudice civile dovrà tenere in considerazione sarà la circostanza che il giudice di ultima istanza (penale, civile o amministrativo che sia) non abbia promosso rinvio pregiudiziale avanti alla Corte di giustizia, in presenza di un dubbio ragionevole sull'interpretazione del diritto UE prospettato da una delle parti o rilevabile d'ufficio, in violazione del corrispondente obbligo ai sensi dell'art. 267 co. 3 TFUE (già art. 234 TCE). Una tale omissione (che potrebbe per altro verso fondare, altresì, una responsabilità dello Stato italiano avanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo per violazione del diritto all'accesso a un giudice di cui all'art. 6 § 1 CEDU: cfr. sul punto la recentissima sentenza della Corte EDU Ullens de Schooten et Rezabek c. Belgio, 20 settembre 2011, §§ 54-62) costituisce, infatti, uno dei criteri espressamente enunciati da Köbler - e puntualmente ripresi poi in Traghetti del Mediterraneo, nonché nella sentenza qui in commento - per la valutazione del carattere "manifesto" della violazione.

Si deve peraltro precisare, in proposito, che la mancata proposizione del ricorso pregiudiziale non potrà, di per sé sola, fondare la responsabilità risarcitoria dello Stato, come attesta proprio la sentenza Köbler, nella quale la Corte ritenne di dover escludere in concreto il carattere "manifesto" della violazione del diritto comunitario realizzata dal supremo organo di giurisdizione amministrativa austriaca, in una questione oggettivamente complessa e rispetto alla quale, pure, tale organo aveva omesso di esperire rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia.

 

9. Due ultimi accenni, in chiusura, ad altrettanti scenari futuri che la decisione odierna potrebbe presto spalancare nel nostro ordinamento.

Il primo concerne la possibilità, cui si accennava poc'anzi, che l'inevitabile adeguamento del l'ordinamento italiano agli obblighi statuiti dalla Corte di giustizia con riferimento al diritto UE si ripercuota, in omaggio al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost., sulla generalità degli errori giudiziari connessi a "violazioni manifeste" del diritto interno da parte dei giudici, anche penali, di ultima istanza. Nient'affatto peregrina potrebbe apparire oggi, ad es., una questione di legittimità costituzionale ex art. 3 Cost. sull'art. 2 l. 117/1988, così come interpretato dalla sinora costante giurisprudenza della Corte di cassazione, nella parte in cui esclude la risarcibilità del danno cagionato da "violazioni manifeste" del diritto interno ad opera del giudice di ultima istanza, in relazione alla ingiustificata disparità di trattamento ormai creatasi rispetto alle violazioni del diritto UE.

Gli inputs provenienti dal diritto di fonte UE potrebbero dunque, ancora una volta, sollecitare la revisione di consolidati orientamenti giurisprudenziali sviluppatisi in seno alle Corti nazionali o provocare modifiche legislative anche in settori sui quali il diritto comunitario non esercita alcuna influenza diretta, proprio com'era accaduto - per limitarsi al caso forse più emblematico - quando le c.d. "direttive ricorsi" dei primi anni '90 in materia di appalti di rilevanza comunitaria costrinsero di fatto la Corte di Cassazione a rivedere, con la storica sentenza delle SS. UU. civili n. 500/1999, il proprio precedente granitico indirizzo, che postulava l'irrisarcibilità del danno derivante da lesione di interessi legittimi ex art. 2043 c.c.

Il secondo scenario, se possibile ancora più dirompente, è connesso all'interrogativo circa la capacità di resistenza di un giudicato di condanna formatosi in esito a una "violazione manifesta" del diritto UE (o comunque ad una violazione di norme interne il cui effetto sia quello di condurre a una "violazione manifesta" del diritto UE, anche solo sotto il profilo del suo "effetto utile"). Vero è che la sentenza Köbler si era preoccupata di distinguere il profilo dell'intangibilità del giudicato rispetto a quello della risarcibilità del danno conseguente all'errore compiuto dai giudici di ultima istanza, precisando che il diritto UE non richiede alcuna revisione del giudicato (§ 39) e sottolineando espressamente che "l'importanza del principio dell'autorità della cosa definitivamente giudicata non può essere contestata (v. sentenza Eco Swiss, cit., punto 46). Infatti, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione" (§ 38). Che tutto ciò debba valere anche per un giudicato penale, il cui effetto sia - in particolare - quello di determinare l'esecuzione di una pena detentiva a carico di una persona condannata ingiustamente, per effetto addirittura di una violazione "manifesta" del diritto vigente, potrebbe essere posto fondatamente in discussione, alla luce - se non altro - dei principi di cui all'art. 5 CEDU, che subordinano la liceità della privazione della libertà a seguito di una sentenza di condanna alla generale condizione che la privazione della libertà sia legittima, e che impongono allo Stato di prevedere il diritto in capo a ogni persona privata della libertà di "presentare un ricorso a un tribunale affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima" (§ 4). Disposizione, quest'ultima, della quale già la nostra Cassazione penale ha fatto diretta applicazione quanto meno nel caso Dorigo, disponendo l'immediata liberazione di una persona già condannata in via definitiva a una lunga pena detentiva, in esito a un processo giudicato però dai competenti organi del Consiglio d'Europa contrario ai principi del "giusto processo" di cui all'art. 6 CEDU: con conseguente illegittimità, ritenuta dalla stessa Cassazione, dell'ulteriore protrarsi dello status detentionis a carico di quel condannato (cfr. Cass. pen., sez. I, 1 dicembre 2006, Dorigo, in Cass. pen., 2007, p. 1441 ss.).